Il concetto di script e i bambini nello spettro autistico

Nell'ambito della psicologia, lo script (che potremmo tradurre con la parola "copione" oppure "schema") indica la conoscenza che abbiamo di certi eventi che si ripetono più o meno con la stessa modalità.
Per esempio, un bambino che ha appreso lo script della festa di compleanno, sa che ci saranno degli invitati, una torta, la canzone "Tanti auguri a te" e poi verranno scartati i regali.
Gli script hanno un valore euristico, in quanto consentono di ridurre il carico cognitivo in caso di nuovi eventi che si ripresentano con determinate caratteristiche che li rendono assimilabili ad altri.

Senza le euristiche saremmo in difficoltà anche per attraversare la strada, invece sappiamo che dobbiamo sostare sul marciapiede e attendere, osservando bene la strada in entrambe le direzioni; sappiamo anche che la situazione è differente se all'incrocio c'è un semaforo oppure no.
Gli script sono strutture conoscitive che riflettono:

• da un lato delle sequenze preordinate di azioni che si svolgono in una determinata situazione (un classico è lo script del ristorante);
• dall’altro lato un insieme di regole sociali che consentono di decidere qual è il comportamento più appropriato in una determinata situazione.


È soprattutto nella relazione interpersonale che gli script svolgono una funzione fondamentale nel favorire la continuità e la fluidità delle interazioni, tramite l’integrazione delle informazioni mancanti e la sintonia con le aspettative e la condotta altrui. Le regole sociali, che i bambini normotipici apprendono in maniera tacita e istintiva, ai bambini nello spettro autistico vanno spiegate in maniera dettagliata.
Tutto ciò che è emozionale ed istintivo nei bambini neurotipici, nei bambini neuroatipici non è istintivo e bisogna aggiungere un passaggio cognitivo nel quale ogni sequenza dello script va spiegata, o ancora meglio illustrata.
Da qui nasce l'importanza delle carte illustrate con le storie sociali.

Di seguito, ecco una scheda che riproduce le azioni della giornata.


È molto celebre lo script, elaborato da Schank e Abelson nel 1977. Vengono esaminate le fasi di una cena al ristorante, dal momento dell'accoglienza all'uscita dal locale. Ogni azione può presentare alcune varianti a seconda del tipo di ristorante e del luogo in cui si trova.

Per script si intende una struttura di memoria che si riferisce conoscenza stereotipica relativa a sequenze di azioni. Gli script si originano da un fenomeno sociale che ha lo scopo di condividere la conoscenza di azioni stereotipiche con altri esseri umani. 

Lo script viene sfruttato dalla mente per semplificare il ragionamento in tutte le situazioni analoghe. In ognuna di quelle situazioni la mente non ha bisogno di compiere i complessi ragionamenti logici che sarebbero teoricamente necessari, ma si limita semplicemente a eseguire lo script relativo.
Lo script contiene due tipi di conoscenza: una sequenza di azioni e un insieme di ruoli. Una volta riconosciuta una situazione e trovato lo script corrispondente, la sequenza di azioni ritrovate consente di comprendere il contesto e di compiere elaborazioni di tipo “anticipatorio” sugli eventi.

Schank e Abelson (1977) hanno poi introdotto i concetti di copioni, piani e temi per gestire la comprensione a livello di storia. Nel suo lavoro successivo (Schank, 1982-1986) ha elaborato una teoria per comprendere altri aspetti della cognizione.
L’elemento chiave della Teoria della dipendenza concettuale è l’idea che tutte le concettualizzazioni possano essere rappresentate in termini di un piccolo numero di atti primitivi eseguiti da un attore su un oggetto. Nella teoria di Schank, tutta la memoria è episodica, cioè organizzata attorno a esperienze personali piuttosto che a categorie semantiche.
Gli episodi generalizzati sono chiamati copioni, questi copioni vengono salvati nella nostra memoria e su ognuno viene applicata un’etichetta per definirlo e collocarlo. Gli script consentono alle persone di fare inferenze necessarie per la comprensione inserendo le informazioni mancanti.

Tratti caratteristici della Sindrome di Asperger

Il quadro diagnostico della Sindrome di Asperger (AS) condivide con il disturbo autistico i sintomi nell’ambito dell’interazione sociale e dei comportamenti e interessi ripetitivi e ristretti.
Si differenzia dal disturbo autistico per il fatto che nella Sindrome di Asperger non vi è un ritardo clinicamente significativo nello sviluppo cognitivo, anzi in molti casi il bambino mostra una spiccata intelligenza e un ottimo interesse verso l'ambiente, però questi interessi sono sempre limitati a un determinato ambito o pochi ambiti, che lo attraggono particolarmente, determinando il suo estraniamento da altri contesti relazionali.

La definizione "Sindrome di Asperger", presente nella quarta edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, è stata inglobata all’interno della diagnosi di disturbo dello spettro autistico nella quinta edizione dello stesso. Tuttavia, in ambito clinico, il termine viene ancora utilizzato per differenziare le due condizioni. Le persone già diagnosticate sono rimaste deluse a causa di questo cambiamento, in quanto la precedente etichetta, consentiva loro di essere immediatamente identificate come persone "ad alto funzionamento" evitando così lo stigma dell'autismo. Anche per questo la vecchia terminologia continua ad essere usata, consentendo una valutazione rapida e buona all'interno dello spettro. Questo anche il vista dell'inserimento in ambito lavorativo.

La diagnosi di sindrome di Asperger viene generalmente fatta nei bambini dopo i 5/6 anni, mentre prima di questa età risulta poco attendibile, in quanto le sfumature dello spettro sono tantissime e non è facile evidenziare a che punto collocare la persona. Forse questo è uno dei motivi per il quale è stata tolta l'etichetta "Sindrome di Asperger" in modo da far ottenere al bambino una diagnosi prima dell'età scolare (dando una definizione generale di sindrome dello spettro autistico) in modo tale da poter accedere tempestivamente a percorsi di sostegno.

In molti casi di alto funzionamento, la Sindrome di Asperger è stata diagnosticata addirittura in età adulta, essendo passata sottosoglia, proprio per l'alto sviluppo cognitivo della prsona.
Tuttavia, va posto un occhio attento alle capacità relazionali che risultano carenti e generano frustrazione ed emarginazione. Può capitare che siano i soggetti stessi, una volta divenuti adulti, a sperimentare un senso di inadeguatezza nei confronti degli altri e delle situazioni di vita quotidiana, che richiedono flessibilità e delle abilità sociali che sono deficitarie nei ragazzi con AS.

Caratteristiche della Sindrome di Asperger

Una delle caratteristiche tipiche è la difficoltà, da parte delle persone con Asperger, a gestire la condotta sociale e le loro relazioni e interazioni con gli altri. Il comportamento sociale può apparire insolito e lo stile di conversazione peculiare. Il bambino piccolo con Asperger può apparire poco motivato a giocare con altri bambini della sua età. Alcuni potrebbero fare da spettatori ai margini del gioco oppure potrebbero preferire stare con bambini più piccoli o più grandi. Quando vengono coinvolti nel gioco, ci può essere una tendenza a imporre la propria attività secondo le loro regole.  Alle volte l’attività sociale viene evitata. Il bambino con Sindrome di Asperger non sembra consapevole delle regole implicite di condotta sociale e spesso può utilizzare condotte o dire cose inadeguate al contesto e alla situazione sociale di riferimento.

Il bambino utilizza scarsamente il contatto oculare. Quando èinvitato a farlo, lo fa in maniera insistente e poco armoniosa, per cui al suo interlocutore appare strano e sgradevole.

Le persone con SA mostrano spesso insolite capacità linguistiche, che includono un ampio vocabolario e una sintassi pomposa, ma le abilità di conversazione e l’uso del linguaggio con creano aggancio sociale, anzi spesso infastidiscono. Infatti, spesso, usano un linguaggio eccessivamente formale. A volte il loro forte interesse in un determinato ambito li porta ad essere logorroici, e possono risultare intrusivi.

Secondo Paul Watzlawich, che ha definito i 5 assiomi della comunicazione, gli esseri umani comunicano sia col codice NUMERICO che con quello ANALOGICO (4° assioma). 

I linguaggi numerici si basano su una logica astratta e convenzionale, fanno uso di parole, cioè di termini astratti e convenzionali, che si legano assieme in base a regole ben definite e piuttosto rigide – la sintassi, l’ortografia ecc. Sono in grado di descrivere adeguatamente la realtà, per cui sono particolarmente adeguati per trasmettere conoscenze e comunicare informazioni. Però non riescono a dare adeguatamente il senso della relazione interpersonale, proprio perché sono linguaggi astratti, “freddi”. Sono quindi più legati al contenuto dei messaggi.

I linguaggi analogici non sono in grado di esprimere significati complessi, e hanno un forte grado di ambiguità – es. il pianto può essere di dolore, di gioia o di rabbia; si può sorridere per comunicare allegria, ma anche ironia e disprezzo. La loro importanza sta invece nel fatto che sono una diretta espressione delle nostre emozioni. Purtroppo il linguaggio analogico viene difficilmente compreso dalle persone con SA. Loro stessi possono esprimere espressioni facciale non congrue al contesto. Posso, per esempio, ridere in faccia all'insegnante che li rimprovera e non per disprezzo, ma per la difficoltà a contenere il disagio e il sovraccarico emotivo e sensoriale.

La comunicazione umana comprende il linguaggio verbale, non verbale, paraverbale.
Nelle persone con SA è presente il linguaggio verbale, ma è deficitario quello non verbale legato all'espressività del volto e alla gestualità. È compromesso anche quello paraverbale legato alle pause e al ritmo del linguaggio. Quindi parlano in maniera monotona, senza pause che diano ritmo, espressività e colore al discorso; il loro modo di parlare risulta freddo, cantilenante.

Un’altra caratteristica della persona con Sindrome di Asperger, è l’interpretazione letterale di ciò che viene detto. La persona è poco consapevole dei significati nascosti, impliciti o multipli. Questa caratteristica riguarda anche la comprensione dei modi di dire comuni o di metafore.

In che cosa consiste la medicina narrativa?

Rita Charon
La Medicina Narrativa nasce con l’intento di colmare la mancanza della Medicina ufficiale di prendere in considerazione gli aspetti personali ed emotivi del malato (al di là dei lati oggettivi basati sull’evidenza); si accosta pertanto agli approcci olistici, per una medicina integrata e partecipata.
In pratica è uno strumento importante per promuovere una maggiore centralità del paziente.
Nell’ambito di un percorso di cura, aiuta il malato ad affrontare la sofferenza, attraverso il linguaggio espressivo (parlato o scritto) valorizzando il vissuto e le emozioni, e condividendole con altri pazienti o con il medico curante o altre figure di supporto.

Raccogliere e portare alla luce un’esperienza per il paziente non è facile, richiede tempi appropriati, capacità di riflessione e una formazione o guida.

Non solo per i pazienti, ma anche per le varie figure mediche, la medicina narrativa va considerata come una fonte di arricchimento in quanto migliora la sensibilità, la capacità di ascolto e il valore della cura accresciuto da un rapporto umano più profondo nel quale medico e paziente divengono alleati per la riconquista della salute o, nei casi più difficili, per il conseguimento di un’accettabile qualità di vita anche nella malattia.
È importante sensibilizzare chi lavora in ambito sanitario affinché possano essere affinate e interiorizzate le capacità comunicative ed empatiche.


Per utilizzare le potenzialità della medicina narrativa è utile sviluppare le capacità di ascolto, di narrazione e di scrittura in merito alle esperienze di cui si è protagonisti (pazienti) o testimoni (familiari, figure mediche).

Questa disciplina arricchisce la cura attraverso l’attenzione e l’utilizzo anche in fase terapeutica dei racconti dei? pazienti, della famiglia e del personale sanitario, dando il giusto peso ai diversi punti di vista dei soggetti.

La definizione che dà Rita Charon, fondatrice della Medicina Narrativa, docente di Clinica medica e direttrice del programma di Medicina Narrativa della Columbia University di New York, è la seguente:
“La Medicina Narrativa fortifica la pratica clinica con la competenza narrativa per riconoscere, assorbire, metabolizzare, interpretare ed essere sensibilizzati dalle storie della malattia: aiuta medici, infermieri, operatori sociali e terapisti a migliorare l'efficacia di cura attraverso lo sviluppo della capacità di attenzione, riflessione, rappresentazione e affiliazione con i pazienti e i colleghi”.

Medicina e letteratura sono spesso andate a braccetto.
Chi soffre può trarre conforto dalle esperienze altrui analoghe alle proprie, ritrovando la positività necessaria ad affrontare i momenti più difficili.

Interagire con altri, siano essi pazienti o medici, verbalizzando, leggendo o scrivendo, sapere di essere ascoltati e di poter essere di aiuto in un processo di condivisione e confronto, infonde fiducia ed è fondamentale per ritrovare la positività necessaria ad affrontare la malattia.

La frasi più belle di Dale Carnegie

Trova te stesso e sii te stesso:
nessun altro al mondo è come te.

Il successo è avere ciò che desideri.
La felicità è apprezzare ciò che ottieni. 

Ci si fa più amici in due mesi mostrandosi interessati agli altri che non in due anni tentando di indurre gli altri a interessarsi a noi.

Le cose veramente importanti nel mondo sono state realizzate da persone che hanno continuato a tentare laddove sembrava che non ci fosse nessuna speranza.

Trattando con la gente ricordiamoci che abbiamo a che fare con creature governate non dalla logica ma dalle passioni, impastate di pregiudizi e mosse dall’orgoglio e dalla vanità.

Tutti gli sciocchi sono pronti a difendere i loro errori, ma ammetterli innalza il colpevole sopra la massa e gli conferisce dignità e serenità.

Ricorda, oggi è il domani di cui ti preoccupavi ieri.

Se usate parole come ragione e torto, intelligente e stupido, non riuscirete mai a convincere nessuno di qualcosa.

Che cosa saremmo senza i nostri ricordi?

I nostri ricordi costituiscono la nostra identità.
Le storie vissute diventano ancora più autentiche e nostre quando le ripetiamo a noi stessi, le narriamo emotivamente nel nostro parlato interiore, le metabolizziamo, le custodiamo nell'anima.
L'anima è fatta di narrazioni, come il corpo è fatto di cellule.
Quando la mente si sfrangia, i ricordi si allentano e pian piano ci abbandonano, allora perdiamo l'essenza di noi stessi.

Racconti del Sé che narriamo a noi stessi

Una narrazione creatrice del Sé è una specie di atto di bilanciamento. Da una parte deve creare una convinzione di autonomia, persuaderci che abbiamo una nostra volontà, una certa libertà di scelta, un certo grado di possibilità. Dall'altra deve metterci in relazione con un mondo fatto di altre persone (la famiglia e gli amici, le istituzioni, il passato, i gruppi di riferimento).

Ma nell'entrare in relazione con l'alterità è implicito un impegno verso gli altri che limita la nostra autonomia. Sembriamo incapaci di vivere senza entrambe le cose: l'autonomia e l'impegno. E le nostre vite cercano di equilibrarle. E così pure i racconti del Sé che narriamo a noi stessi.
    Jerome Bruner

La psicologia positiva, Seligman

Martin Seligman, New York 1942
Il bisogno di dar vita alla psicologia positiva iniziò a farsi strada dopo la Seconda Guerra mondiale, quando si evidenziò che molte persone, in precedenza fiduciose e di successo, tendevano a divenire sfiduciate e depresse, dopo che la Guerra aveva sottratto loro i sostegni sociali, il lavoro, il denaro e lo status. Tuttavia queste problematiche, che avevano colpito un po’ tutti, non avevano le stesse pesanti ripercussioni su altri individui che, al contrario, mantenevano la loro serenità e il loro equilibrio. Da queste constatazioni nacquero interrogativi e supposizioni circa i punti di forza di chi riusciva a mantenersi forte e stabile.

Secondo il parere di Seligman, le risposte di Freud e di Jung non erano soddisfacenti. I tempi per fondare la psicologia positiva potevano considerarsi maturi.
Lo scopo fondamentale della psicologia positiva è quello di spostare il focus mirato dal riparare unicamente ciò che non funziona al costruire qualità positive orientate al benessere. 

La psicologia positiva si propone di studiare la forza e il talento che ha a che fare con il lavoro, l’educazione, il gioco, l’amore, l’introspezione, la formazione e crescita.
Per fare questo si parte dall’unicità dell’essere umano.
A livello individuale si focalizza sui tratti positivi individuali: le abilità intra e interpersonali, l’empatia, la perseveranza, la saggezza, il talento.
A livello di gruppo si focalizza sull’onestà e senso civico che spingono l’individuo a essere un buon cittadino: la responsabilità, il rispetto, l’altruismo, la civiltà, la moderazione, la tolleranza.

Narrare e scrivere per rafforzare la volizione

Il processo di verbalizzazione, come il processo di scrittura, racchiude un grande potenziale terapeutico. Mentre scriviamo ci distraiamo dai problemi anche se paradossalmente stiamo parlando proprio di questi. In realtà li vediamo con più distacco e diveniamo più obiettivi nei confronti della realtà e più capaci di intravedere soluzioni.

Narrare, oralmente o attraverso la scrittura, è un balsamo in grado di rasserenare, sia che stiamo trattando cose piacevoli o situazioni di sofferenza.
Attraverso la scrittura, attività che assorbe completamente, sviluppiamo la qualità del coinvolgimento e dell'empatia.
Scrivere con assiduità rafforza la determinazione e la volizione che rappresenta l'opposto dell'apatia.

Come spiegare le emozioni ai bambini

Ecco una scheda utile per parlare ai bambini, in maniera semplice, di emozioni.

La rappresentazione dell'albero permette di raggruppare le emozioni in:

- emozioni di fondo (in realtà corrispondono più agli stati temperamentali, cioè legati alla predisposione innata individuale)

- emozioni primarie (6 emozioni fondamentali comuni a tutte le età e tutte le culture)

- emozioni secondarie (si sviluppano sulla base delle esperienze, a partire dalle emozioni primarie o dalla combinazione di esse). 

Prove scientifiche sugli effetti della tangoterapia


 
Le arti terapie comprendono terapie legate alla pittura e manipolazione. Inoltre comprendonono terapie legate alla danza e alla musica.
 
Nell'ambito della danza terapia, troviamo la tangoterapia. È noto da tempo che il tango argentino ha effetti benefici sulla funzione motoria nei malati di Parkinson.

A riprova ricordiamo i risultati di uno studio controllato, riportati dal sito nazionale dell’AIP l’11 ottobre 2011.
Nell’ambito dello studio che ha confrontato 31 pazienti parkinsoniani che hanno partecipato ad un programma di tango argentino per due volte alla settimana con altri 31 pazienti che non lo hanno seguito, dopo un anno i pazienti ballerini hanno presentato un miglioramento del 28,7% (12,8 punti) del punteggio motorio sulla scala UPDRS, nonché miglioramenti significativi in un test di equilibrio (MiniBESTtest), del freezing (questionario FOG) e del cammino (test del cammino per 6 minuti).

La grande ballerina Carmencita Calderon

 Carmencita Calderon nata il 10 febbraio del 1905, si è spenta il 31 ottobre del 2005.

 Il 10 febbraio aveva festeggiato brillantemente i 100 anni. 

Un gruppo di sue amiche giovani (70-80 anni) le ha invaso la casa, per festeggiare il suo compleanno, portandole una torta con cento candeline. 

Nel pomeriggio del giorno dopo è andata dal parrucchiere, in serata ha chiamato un taxi e si è fatta portare alla Baldosa, una milonga molto conosciuta a Buenos Aires, nel quartiere Flores. Molti ballerini e appassionati di tango la stavano aspettando. C’era un tavolino riservato per Carmencita. Ha appoggiato la borsetta, si è seduta e poi si è alzata quando Jorgito Dispari l’ha invitata a ballare: un tango, una milonga, un vals. Applausi scroscianti hanno invaso la sala.
Alle due passate ha chiamato un altro taxi ed è tornata a casa, a Villa Lugano, peina di gioia e soddisfazione. Non avrebbe potuto immaginare un modo più bello per festeggiare il suo secolo, tra le braccia di quel bravo tanguero che ha fatto le coreografie di Assassination Tango e molte altre cose, tra cui insegnare tango alla grande ballerina Geraldine Rojas.