Il cervello al lavoro

Quanto e in che modo la professione che svolgiamo riesce a modificare il nostro cervello? 
Affrontiamo questa affascinante tematica col dott. Marco Mozzoni, esperto di neuroscienze cognitive. 
Laureato in Filosofia alla Statale di Milano (1990) e in Neuropsicologia a Pavia (2008), è iscritto all’Ordine dei Giornalisti e all’Ordine degli Psicologi.

All’origine di tutto vi è la colpa. Perché la mela non la si doveva proprio toccare. Da lì in poi, la donna avrebbe partorito con dolore e l’uomo avrebbe dovuto... lavorare! Eh sì, il lavoro ci è toccato come punizione, come punizione per quella colpa originaria. Almeno questo dicono le Scritture. Oggi il lavoro, per chi ce l’ha, occupa la maggior parte del tempo allo stato vigile di una persona e può condizionarne l’esistenza a tutti i livelli, economico, sociale, relazionale, psichico. C’è chi è soddisfatto del proprio lavoro, chi meno, chi per niente. Quest’ultimo la vive così male da rischiare di cadere nel circolo perverso dell’ansia e della depressione, vere e proprie “malattie dell’anima” dei giorni nostri, che, se non trattate, sono capaci di danneggiare le funzioni cognitive e il metabolismo del nostro cervello, in un circolo perverso che sembra non avere fine. 
Ma il lavoro ci modifica sempre, anche se ci piace tanto quello che facciamo. Ci modifica, fisicamente e mentalmente. 
La professione che svolgiamo ci plasma al punto da riuscire a “riorganizzare” profondamente il nostro sistema nervoso, non solo il nostro corpo e le nostre abitudini. 
La cosa più evidente è senza dubbio osservabile a livello fisico: chi non si ricorda la pubblicità della famosa bevanda portata “cassa in spalla” da... un fusto con i muscoli d’acciaio? Del resto, mi si passi il paragone, nel cervello succede proprio quello che succede nei muscoli. Più lo si usa, più funziona. E, come lo si usa, così cambia. Proprio come avviene per l’apparato muscolare, le parti che si vanno plasmando “selettivamente” dipendono dallo specifico “esercizio” praticato con costanza. Chi ha dimestichezza con le palestre sa benissimo che ogni diversa macchina serve per agire su muscoli differenti. Per questo si fa preparare, previa valutazione del proprio stato fisico di ingresso e in funzione degli obiettivi personali, un piano dettagliato di allenamento, dove vengono indicati gli strumenti da utilizzare e i tempi da dedicarvi. 
La corteccia cerebrale è divisa naturalmente in quattro sezioni, chiamate lobi: in estrema sintesi, il lobo frontale gestisce il ragionamento, la pianificazione, la produzione del linguaggio, il movimento, le emozioni e la risoluzione di problemi (“problem solving”); il lobo parietale è associato all’orientamento, alla ricognizione spaziale, alla percezione di stimoli; il lobo temporale è dedicato alla percezione e al riconoscimento di stimoli uditivi, alla memoria e al linguaggio; il lobo occipitale infine all’elaborazione visiva. 

Al momento della nascita siamo dotati di una quantità di neuroni in eccesso. Nello sviluppo, la riduzione dei neuroni avviene parallelamente al consolidamento selettivo e alla stabilizzazione dei “circuiti” che prendono forma fra le cellule nervose, in funzione dell’esperienza che facciamo. Come dire, esiste sì un programma genetico che ci portiamo appresso, ma il ruolo dell’ambiente, cioè delle stimolazioni che il mondo ci offre in continuo, è decisivo nella formazione del nostro cervello, che sta alla base delle nostre diverse capacità di pensare, di emozionarci, di agire. 

I nomi delle emozioni dalla A alla Z

Assegnare il giusto nome a una emozione ci aiuta a comprenderla meglio, a metabolizzarla e superarla evitando che pesi nel nostro passato restando irrisolta.

Nomi di emozioni, dalla A alla Z

A - Ammirazione, Amore, Angoscia, Ansia, Amarezza, Apprensione, Attesa
B - Beatitudine
C - Compassione, Compiacimento, Curiosità, Collera, Costernazione
D - Dolore, Disgusto, Disprezzo, Dubbio, Delusione
E - Estasi, Entusiasmo
F - Frustrazione
G - Gioia, Gratitudine, Gratificazione, Gelosia
I - Ira, Invidia, Inquietudine, Imbarazzo, Inadeguatezza, Insicurezza, Indifferenza, Impazienza
L - Livore, Letizia, Leggerezza
M - Malinconia, Mestizia
N - Noia, Nostalgia
O - Ostinazione, Orgoglio, Odio
P - Paura, Prostrazione, Perdono
R - Rabbia, Rancore, Riconoscenza, Rassegnazione, Rimorso, Rimpianto
S - Sorpresa, Stupore, Sgomento, Soddisfazione, Speranza, Sospensione, Struggimento, Sopraffazione, Stima, Scoraggiamento
T - Terrore, Turbamento
U - Umiliazione
V - Vergogna, Vendetta
Z - Zuzzerellaggine (spensieratezza, svagatezza)

Importante ruolo della vitamina D nelle malattie autoimmuni

Soltanto una minima parte della vitamina D si assume con gli alimenti, tutto il resto lo sintetizziamo noi stessi esponendoci alla radiazione solare UV a partire da un precursore presente nell’epidermide, il deidrocolesterolo. Infatti, un importante fattore di rischio di ipovitaminosi D è la ridotta esposizione al sole. Bambini e ragazzi trascorrono troppo tempo in ambienti chiusi svolgendo attività sedentarie.
Basterebbe esporre gambe e braccia tre volte a settimana a mezz’ora di sole oppure tutti i giorni 15 minuti. Un altro fattore responsabile della carenza è l’obesità: la vitamina D è liposolubile e viene catturata nel tessuto adiposo; si rammenta che un terzo della popolazione in età evolutiva in Italia è obeso/sovrappeso. 
Va precisato che sono a maggior rischio i fototipi scuri, con una cute naturalmente più protetta dai raggi. Loro hanno bisogno di una esposizione maggiore. 
Inoltre, l’utilizzo eccessivo e protratto di creme con filtri solari alti riduce drasticamente la sintesi della vitamina D. In tanti casi basterebbe un fattore di protezione medio.
Poi la stagione e la latitudine fanno il resto: d’inverno di vitamina D se ne sintetizza molto poca, per via dell’inclinazione dei raggi solari. Per la stessa ragione più ci si allontana dall’equatore, meno la radiazione UV è efficace. 
Nei primi due anni di vita la vitamina D è fondamentale, oltre che per la sua attività sullo scheletro, anche perché interviene nello sviluppo del sistema immunitario intestinale, proteggendo il bambino dalle allergie. 
È stato osservato infatti che una concentrazione ottimale di vitamina D nell’infanzia si associa alla protezione da diverse malattie: dalle respiratorie, alle autoimmuni come diabete mellito di tipo 1 e morbo di Chron, dalla dermatite atopica alla sclerosi multipla... Il pediatra deve valutare, caso per caso, se è necessario aggiungere vitamina D come supplemento alla dieta.

La vitamina D è fondamentale per prevenire diverse patologie, e può essere impiegata ad alte dosi per curare patologie autoimmuni già conclamate.
Le alte dosi di vitamina d vengono impiegate nel metodo Coimbra per curare la sclerosi multipla, la psoriasi, l'artrite psoriasica, la vitiligine.
Il dott. Cicero Coimbra, che l'ha ideato, è un neurologo brasiliano, professore e ricercatore nell’ambito delle malattie del sistema nervoso e autoimmuni.

Alla base di questo metodo vi è la convinzione da parte del Dott. Coimbra che bassi livelli di vitamina D (colecalciferolo è il nome chimico) che sono dovuti a:
  • scarsa esposizione solare
  • scarsa assunzione di vitamina d con gli alimenti (è presente prevalentemente nel fegato dei pesci, per esempio nell'olio di fegato di merluzzo)
  • alterata attività dell’enzima che determina la sua attivazione
possano determinare l’insorgenza della gran parte delle malattie autoimmuni.

La vitamina D, considerata da Coimbra un vero e proprio ormone, influenza l’espressione di una parte del nostro patrimonio genetico (anche più del 10%) risultando essenziale come agente immunomodulatore e offrendo, a livello del sistema nervoso centrale, un’azione antinfiammatoria e antiproliferativa.
Secondo Coimbra i livelli di vitamina d (100 Unità Internazionali giornaliere) assunti comunemente con una dieta occidentale risultano insufficienti al nostro fabbisogno. In base al protocollo la dose si può estendere fin oltre i 500 UI per kg di peso corporeo al giorno.
In Italia ci sono diversi medici che applicano tale protocollo. Chi è intenzionato a seguirlo deve necessariamente farsi seguire da un medico specializzato, evitando il fai da te, in quanto il sovradosaggio comporta dei rischi specialmente in relazione all'attività renale.

Elioterapia o terapia del sole

L’elioterapia è basata sull’azione benefica dei raggi solari sul nostro corpo.
L’importanza dei fattori climatici sulla salute dell’uomo e la possibilità di sfruttarla a scopi terapeutici, venne intravista già da Ippocrate, oltre che da tanti altri scienziati dell’antichità come Plinio il vecchio.
Le radiazioni solari, assorbite con le dovute precauzioni, possono apportare notevoli benefici nell’ambito di diverse patologie.
I raggi infrarossi esercitano la loro azione a livello degli strati superficiali della cute, dove si trasformano in energia calorica. Si deve però prestare attenzione alle intensità elevate, caso in cui possono procurare delle vere e proprie ustioni, con le relative conseguenze. 
Invece, gli ultravioletti (raggi UV) che rappresentano solo il 5% dello spettro solare, penetrando nella profondità dei tessuti fin dentro le cellule, sono responsabili dell’azione stimolante dei processi metabolici.

Comprendere come comunicano tra loro le cellule per sconfiggere il cancro

Quando le cellule sane danno a se stesse, al proprio interno, normali messaggi proliferativi (mi serve quella proteina, abbassa questo, alza quest'altro), in realtà attuano esattamente trasporti di massa dal punto di vista molecolare. I loro messaggi non sono telefonate, sono molecole che vanno da un punto all'altro e quando arrivano a destinazione si attaccano a qualcosa, un gene o un enzima, e gli dicono accenditi oppure fai questa determinata cosa.
Io credo che quando si ha il cancro, questo trasporto delle informazioni avvenga in maniera sregolata, che il "sistema postale" all'interno della cellula non sia più lo stesso e certi messaggi vengano amplificati: qualche volta chissà perché il postino anziché portare una lettera ne fa diecimila copie e le distribuisce in giro. Altre volte, invece, non porta più la lettera e la fa a pezzi. Oppure sceglie di recapitare una certa lettera e ne rifiuta un'altra, creando il caos, destabilizzando l'intelligenza centrale della cellula. Questo scombussolamento complessivo noi lo chiamiamo cancro.
In condizioni normali le cellule sono perfettamente capaci di vedere se stanno bene o se stanno dando i numeri, cioè se cominciano a fare cose in forma patologica. Dispongono cioè di veri e propri controllori interni e quando si rendono conto che stano diventando pericolose per le cellule vicine, si suicidano. Questa è la cosiddetta apoptosi cellulare: la morte programmata. Tutte le cellule sanno che devono morire dopo un certo numero di cicli riproduttivi.
(...)
Il cancro fa parte della nostra vita, tutti noi abbiamo il cancro, centinaia, forse migliaia di volte, nel corso della nostra esistenza. Se mi guardassi dentro, adesso, potrei avere anche cento cancri. Grazie al cielo, però, il sistema immunologico è generalmente capace di trovarli, fermarli, ucciderli. Succede in continuazione.

Tratto dal libro "Il male curabile" di Michele Cucuzza.
La sfida di Mauro Ferrari, il matematico italiano che sta rivoluzionando la lotta ai tumori