Concetto di impotenza appresa

Per impotenza appresa si intende “l’abitudine di interpretare sempre in maniera negativa ciò che succede, al punto che pensiamo di non essere abbastanza capaci di affrontare la maggior parte delle cose che accadono nella nostra vita e non tentiamo pertanto nemmeno di affrontarle”. Lo psicologo Martin Seligman ha introdotto questo concetto dopo i suoi studi (1975) attraverso i quali si è poi sviluppata la psicologia positiva

Secondo Seligman, le modalità di pensiero pessimistico, tipico di coloro che attribuiscono le cause dei propri fallimenti a se stessi o alle persone più vicine a loro, conduce spesso in stati depressivi. Seligman ha tentato di evidenziare se la stessa catena cognitiva di cause non potesse essere ribaltata sul versante positivo
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Parlando di salute positiva, Seligman non si riferisce all’assenza di malattia, ma ad una condizione caratterizzata dal provare emozioni positive, dall’avere degli impegni finalizzati al raggiungimento di obiettivi positivi, dall’essere in grado di relazionarsi positivamente con l’alterità (2008). Il benessere provato, frutto dell'equilibrio mentale e dello stato di omeostasi, incrementa la longevità delle persone e migliora la qualità di vita anche nell'invecchiamento.


Edonia (Kahneman), Eudaimonia (Ryan, Deci)

Daniel Kahneman, Tel Aviv 1934
Nell’ambito della cosiddetta "Psicologia Postiva" distinguiamo due prospettive filosofiche, che hanno diversi aspetti in comune ma presentano anche sostanziali differenze: la prima è la prospettiva edonica (Kahneman, Diener e Schwarz), la seconda è la prospettiva eudaimonica (Waterman, Ryan e Deci).

Lo psicologo Daniel Kahneman definisce la “psicologia edonica” lo studio di “ciò che rende le esperienze e la vita piacevoli o spiacevoli”. 
Kahneman identifica nella massimizzazione della felicità umana il suo scopo principale e associa il benessere principalmente alla dimensione affettiva e alla soddisfazione di vita.
La prospettiva edonica trova le sue basi filosofiche nella teoria di Aristippo del terzo secolo a.C. che definiva il piacere come bene esclusivo da ricercare, conseguibile attraverso la capacità di mantenere il controllo nelle situazioni avverse, mantenendo un adeguato adattamento ed equilibrio. Lo scopo della vita veniva identificato nella sperimentazione della massima felicità, risultato della somma dei singoli momenti edonici.

L'importanza delle favole

Le favole non dicono ai bambini che i draghi esistono. Perché i bambini lo sanno già. Le favole dicono ai bambini che i draghi possono essere sconfitti.
(G. K. Chesterton)

Per i bambini, le favole rappresentano una porta per accedere al proprio mondo interiore ed emotivo. In tal modo possono capire i sentimenti più complessi, verbalizzandoli. Nel contempo possono stimolare stimolare le capacità di ragionamento.
Infatti, è possibile attraverso le fiabe apprendere nuovi schemi di comportamento, imparare a rispondere meglio a situazioni conflittuali. In tal modo si acquisisce la capacità di non rimanere vinti dalle emozioni che si esperiscono.
Identificarsi nei protagonisti dà modo ai bambini di entrare in contatto con le emozioni, imparando a riconoscerle, a nominarle, a descriverle.
Immaginando, il bambino inizia a prendere contatto e a comprendere temi che creano disagio, come la paura, la rivalità fraterna, la separazione e l'abbandono.