La capoeira come esperienza ottimale per il corpo e la mente

Nel 1624, la Compagnia Olandese delle Indie Occidentali attaccò il Brasile portoghese e riuscì a conquistarne alcune zone costiere fondamentali per il commercio.
Approfittando della situazione, migliaia di schiavi africani si ribellarono ai padroni e fuggirono nelle foreste dell’entroterra brasiliano; lì, si organizzarono in villaggi indipendenti, detti “quilombos”. Sapendo di poter trovare rifugio in queste comunità, molti altri schiavi continuavano a fuggire. 
I portoghesi, quindi, si affrettarono a soffocare il fenomeno, ma le loro prime spedizioni fallirono: i fuggitivi, originari di di-sparati gruppi etnici africani, avevano amalgamato le proprie tradizionali forme di combattimento in una lotta tremenda. Un documento del 1624 recita: “Combattono usando calci e testate come fossero veri animali indomabili”. La capoeira era nata.
Per difendere quelle piccole oasi di libertà dei quilombos, generazioni di guerrieri capoeiristi si successero in una resistenza lunga ottant’anni. Poi, inevitabilmente, le armi da fuoco dell’esercito portoghese prevalsero; i ribelli furono uccisi o ricondotti in schiavitù, ed i quilombos, a poco a poco, soccombettero. La capoeira, però, sopravvisse, ed, anzi, si diffuse a macchia d’olio: infatti, i sopravvissuti dei quilombos, venduti come schiavi nelle piantagioni di tutto il Brasile, insegnarono la capoeira ai nuovi compagni, i quali apprendevano con entusiasmo ed ammirazione.
Sradicata, però, dall’originale condizione di libertà di cui godeva nei quilombos, la capoeira si modificò, arricchendosi di una serie di movimenti esornativi, di fatto superflui al combattimento vero e proprio, forse per mistificare la propria natura marziale e confondersi con una danza tribale agli occhi dei bianchi ignari. 
Così, gradualmente, essa si trasformò nel gioco rituale che oggi noi conosciamo. 

Il rituale del gioco si svolge accompagnato dal canto e da alcuni tradizionali strumenti musicali. Una moltitudine di persone disposte in cerchio risponde al canto e osserva lo spettacolo. In mezzo a loro, due capoeiristi si sfidano nel gioco: alternano rapidamente finte, calci, schive, acrobazie. Si muovono ininterrottamente, da una parte all’altra, e, silenziosamente, comunicano. Movimenti e gesti sono significanti: il loro significato è ostentazione di abilità, provocazione dell’avversario, etc.
Usando questo linguaggio, si danno arie, si burlano un po’ l’uno dell’altro, si scambiano scherzetti e scaramucce, simulano la veracità di un ammiccamento e dissimulano un intento malandrino, cercando in tutti i modi di provocare l’errore nell’altro.
La vera sfida è sul piano dell’astuzia, soprattutto. La violenza è dispensabile al gioco, perciò, solitamente, le mosse violente vengono solo accennate, per sottolineare l’errore dell’avversario.
Va però ricordato che questa non è una regola, e, in generale, nella capoeira non esiste regola né arbitro, né vincitori né perdenti.
D’altronde, quale arte ha delle regole?

Vittorio Bard per Vivacemente3

Nessun commento:

Posta un commento