Lo scenario emotivo della narrazione


Il genere narrativo è caratterizzato dal coinvolgimento del fattore emozionale che si trasmette dal narratore al lettore o ascoltatore.

La narrazione non è una cronistoria, un resoconto o un elenco di eventi nel loro susseguirsi.

Nella narrazione oltre allo scenario degli accadimenti, c'è lo scenario della coscienza. Il vissuto emotivo e mentale dei protagonisti è pregnante nella storia e diviene contagioso.

Nei testi narrativi la tonalità emotiva è forte ed è in grado di innescare numerose emozioni: curiosità, divertimento, suspance... per arrivare anche a timore, smarrimento, gioia, entusiasmo...
Tutto questo alternarsi di emozioni è stimolante e infonde benessere nel lettore.
Anche lo scrittore ottiene benefici nello scrivere in quanto questo diviene un atto liberatorio.

La struttura di una opera narrativa è formata da sequenze, che talvolta corrispondono ai capitoli, ma non necessariamente.
Più in generale le sequenze narrative sono parti del testo in cui viene descritto lo svolgimento della storia col succedersi dei vari accadimenti (azioni).
Le sequenze descrittive presentano le ambientazioni e i protagonisti, introducendoli al lettore. A queste si alternano le sequenze riflessive in cui spiegate le emozioni dei personaggi, le loro gioie e le loro angosce; nelle sequenze dialogate avviene un dialogo diretto tra due o più personaggi.
I testi narrativi sono composti da una equilibrata alternanza di queste sequenze che, incastrandosi tra loro, compongono lo scheletro della storia.

Narrativa, memoria, immaginazione. Scrivere e riscrivere.

Mediante la narrativa costruiamo, ricostruiamo, in un certo senso perfino inventiamo, il nostro ieri e il nostro domani. La memoria e l'immaginazione si fondono in questo processo. Anche quando creiamo i mondi possibili della fiction, non abbandoniamo il familiare, ma lo congiuntivizziamo trasformandolo in quel che avrebbe potuto essere e in quel che potrebbe essere.
   Jerome Bruner

Le esperienze ottimali e il potere della gratificazione

Illustrazione di Pucci Violi
Le esperienze eudaimoniche, esperienze vissute in sintonia con la propria natura dette anche flow, esternando i propri talenti, conducono gli individui che le vivono lungo un percorso di crescita benefico, arricchente, appagante. Per questo motivo tali esperienze sono definite “esperienze ottimali”, proprio perché in grado di infondere benessere sia a livello psicologico che fisico.
Provate a pensare a pittori, scrittori, musicisti che riescono a dare il meglio di loro stessi traendo da questo una profonda gratificazione, paragonabile a uno stato di estasi.
Certamente non è necessario essere artisti a grandi livelli, ognuno di noi può trarre grandi soddisfazini e gratificazioni appassionandosi al proprio lavoro o a un hobby per il quale si prova una particolare attrattiva e si intuisce una buona predisposizione.
Anche i bambini possono provare le esperienze ottimali, nello sport, nel disegno, coltivando le loro abilità in maniera creativa.
Bisogna tenere presente che un'esperienza per essere definita ottimale, quindi in grado di apportare un beneficio psicofisico, deve essere coinvolgente a livello profondo.
Un’attività che piace solo in parte, che diventa ripetitiva e poi ossessiva, o che annoia, non è certo una esperienza ottimale.
Un’attività che inizialmente piace e non annoia, ma per la quale non si è predisposti, potrebbe richiedere un livello di sforzo esagerato e finirebbe col generare ansia.

Quindi bisogna che il livello di coinvolgimento sia alto, che ci sia una buona predisposizione di fondo (talento) in modo che non vengano richiesti livelli di sforzo eccessivi e che si possano raggiungere buoni risultati senza una fatica stremante. 
L’ansia e la noia sono sempre da evitare.
Un buon impegno che porta al miglioramento delle capacità in maniera serena possono garantire il raggiungimento di esperienze ottimali che sono un vero toccasana non solo per lo spirito, ma anche per il fisico in quanto è scientificamente dimostrato attraverso gli studi della PNEI (psico-neuro-endocrino-immunologia) che le esperienze eudaimoniche abbassano i livelli di cortisolo nel nostro organismo e ci mettono al riparo da malattie fisiche e dalla depressione.
Le persone che hanno un maggiore benessere psicofisico, anche grazie ad eventi positivi, manifestano una maggiore attivazione del corpo striato e della corteccia prefrontale, e anche minori livelli di cortisolo.
Il corpo striato e la corteccia prefrontale sono elementi del circuito dopaminergico della ricompensa in cui la dopamina è il neurotrasmettitore principale alla base di questa rete neurale. 
Una buona attivazione del circuito della ricompensa, in risposta a eventi positivi, risulta alla base del benessere e della regolazione adattiva dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene.
Le esperienze ottimali, definite nel mondo anglosassone Optimal experiences o più sinteticamente flow per indicare la profusione dell’impegno e delle abilità che come un fiume in piena sono capaci di liberarsi, quando una persona è immersa in un flusso creativo, durante il quale non si avverte stanchezza, sotto l’effetto della ricompensa con la gratificazione.

© Rossana d'Ambrosio

La nostra scrittura si evolve insieme a noi

Nella scuola elementare ci viene presentato un preciso modello scrittorio al quale ogni bambino cerca di attenersi il più possibile. Crescendo ed acquisendo una sempre maggiore dimestichezza con carta e penna, la scrittura tende a diventare via via meno anonima acquistando caratteristiche proprie e spesso anche scostandosi dal modello scrittorio.
Si pensi per esempio alla realizzazione delle lettere m e n. Molti ragazzi, crescendo tenderanno a scrivere in modo diverso (la n viene spesso scritta come una u), trasmettendo così caratteristiche di scioltezza e dinamicità. Altri ragazzi continueranno anche da adulti a scrivere la m e la n nel modo classico, sottolineando il loro bisogno di attenersi alle regole, senza trasgressioni.
Inoltre la scrittura può essere mutevole anche in base agli stati d'animo e alle condizioni di salute. Quindi essa può rivelare molto sulla nostra sofferenza.

Anche la firma parla di noi

La firma può rivelare molto aspetti di una persona.
Per esempio, chi firma nella parte destra dello foglio è una persona che guarda al futuro, mentre chi firma nella parte sinistra, fatica a rinnovarsi essendo molto ancorato al passato. Chi firma senza alterare la solita scrittura è una persona che si mostra per come è veramente, mentre chi usa una firma incomprensibile ed esageratamente ampollosa, cerca di apparire agli altri in modo diverso. Chi usa nelle proprie iniziali una lettera non ampollosa e addirittura minuscola è una persona che non tende a sopravvalutarsi con gli altri, ma che lascia trapelare le proprie qualità con modestia senza ostentarle (esempio 7).
Chi firma usando prima il cognome e poi il nome dà molta importanza alla famiglia di provenienza.


Più precisamente si può dire che la scrittura rivela chi siamo, mentre la firma rivela chi vorremmo essere.

Grafologia: interpretare la scrittura per capire noi stessi e gli altri

I segni della scrittura, se giustamente interpretati, possono aiutarci a capire meglio il carattere di una persona ed il suo stato d’animo. 
La dottrina che studia i segni della scrittura si chiama “grafologia”.
Scrivete alcune righe su un foglio bianco, usando una penna stilo o una sfera e poi firmate. Osservate attentamente la scrittura, prendendo in esame le caratteristiche qui presentate. Potete fare questo test su voi stessi o sui vostri amici. 

La pressione scrittoria, indica l’energia vitale. Una persona depressa e angosciata, avrà un segno debole, incerto, poco marcato (esempio 1). Al contrario una persona entusiasta e vitale avrà un tratto fermo con una certa pressione sul foglio che potrà lasciare un lieve segno nei fogli sottostanti.

La dimensione della scrittura detta “calibro della scrittura” indica la padronanza di se stessi. Una persona insicura e timida avrà un calibro di scrittura piccolo. Il calibro medio indica il giusto equilibrio, mentre un calibro eccessivamente grande (6mm per l’adulto) può indicare  un complesso di superiorità (magari conseguente a un complesso di inferiorità).
Una grafia tondeggiante indica estroversione ed apertura verso il prossimo. Una grafia eccessivamente angolosa e appuntita può indicare rigidità e durezza.

L’andamento ascendente della riga (la scrittura che tende a salire nel foglio come nell’esempio 2) indica ottimismo; mentre l’andamento discendente indica generalmente tendenza al pessimismo e alla depressione (esempio 1). Questo vale per le persone che hanno già acquisito una certa padronanza nello scrivere e non per i bambini sotto i dieci anni.

Terapie dolci per il mal di testa

Incidenza e cause della cefalea.
In Italia più di 6 milioni di persone soffrono di cefalea, soprattutto donne. Si tratta di un disturbo fastidioso, che ha ripercussioni nella vita privata e sociale, con una perdita di centinaia di milioni di ore di lavoro o di studio l’anno.
Si valuta che solo una persona su dieci possa affermare di non avere mai provato il mal di testa nella propria vita.
Il mal di testa è molto studiato, anche se tutt’oggi sussistono diversi aspetti non ancora chiari, sulle cause. 
Si ipotizzano alterazioni di tipo vascolare o nervoso; mentre nelle donne giocano un ruolo fondamentale le variazioni ormonali legate al ciclo mestruale, alla menopausa o all’uso di contraccettivi orali. 
Fra i possibili motivi dell’emicrania, oggi si reputa che vi possano essere anche malattie allergiche (quali asma, rinite o dermatite). Inoltre anche il fumo di sigaro e sigaretta possono essere tra le cause scatenanti anche nel caso di fumo passivo. 
È stato da poco individuato un disturbo chiamato cefalea notturna che riguarda prevalentemente pazienti anziani. 
Esistono anche alimenti in grado di provocare forti attacchi di emicrania in chi è predisposto, come formaggi stagionati, salumi, crostacei, cioccolato, alcolici, prodotti alimentari contenenti glutammato di sodio, perché possono alterare la circolazione. Anche durante l’attività sessuale, con l’aumento della pressione del sangue e conseguentemente alla vasodilatazione, si possono scatenare, in alcuni soggetti, attacchi di cefalea piuttosto intensi.

Limerick: che cosa è?

Il limerick è breve componimento in rima e può essere considerato una forma di nonsense.
Esso è stato reso famoso da Edward Lear, poeta e scrittore inglese dell’Ottocento.
Un limerick è sempre composto di 5 versi, di cui i primi due e l’ultimo, rimati tra loro, il terzo e il quarto, a loro volta rimati tra loro, secondo lo schema AABBA.
Nel limerick più comune il primo verso deve sempre contenere il protagonista, un aggettivo per lui qualificante e il luogo geografico dove si svolge l’azione, mentre i restanti versi sintetizzano l’aneddoto e nell’ultimo verso viene richiamato il protagonista, per connotarlo meglio.
Ecco un esempio di limerick italiano composto dal celebre poeta Gianni Rodari.
  Una volta un dottore di Ferrara
  Voleva levare le tonsille a una zanzara.
  L'insetto si rivoltò
  E il naso puncicò
  A quel tonsillifico dottore di Ferrara

Cimentarsi nella stesura di nuovi limerick può essere un buon esercizio per tenere attiva la mente, per sorridere e far sorridere.
Provateci, seguendo le istruzioni.
Primo verso: scegliete un personaggio e un luogo.
Secondo verso: citate una caratteristica (pregio o difetto) del personaggio e spiegate che cosa fa.
Terzo e quarto verso: raccontate la situazione.
Quinto verso: riprendete il primo e aggiungete qualcosa di rafforzativo.
Qui di seguito trovate altri esempi.

Il cervello al lavoro

Quanto e in che modo la professione che svolgiamo riesce a modificare il nostro cervello? 
Affrontiamo questa affascinante tematica col dott. Marco Mozzoni, esperto di neuroscienze cognitive. 
Laureato in Filosofia alla Statale di Milano (1990) e in Neuropsicologia a Pavia (2008), è iscritto all’Ordine dei Giornalisti e all’Ordine degli Psicologi.

All’origine di tutto vi è la colpa. Perché la mela non la si doveva proprio toccare. Da lì in poi, la donna avrebbe partorito con dolore e l’uomo avrebbe dovuto... lavorare! Eh sì, il lavoro ci è toccato come punizione, come punizione per quella colpa originaria. Almeno questo dicono le Scritture. Oggi il lavoro, per chi ce l’ha, occupa la maggior parte del tempo allo stato vigile di una persona e può condizionarne l’esistenza a tutti i livelli, economico, sociale, relazionale, psichico. C’è chi è soddisfatto del proprio lavoro, chi meno, chi per niente. Quest’ultimo la vive così male da rischiare di cadere nel circolo perverso dell’ansia e della depressione, vere e proprie “malattie dell’anima” dei giorni nostri, che, se non trattate, sono capaci di danneggiare le funzioni cognitive e il metabolismo del nostro cervello, in un circolo perverso che sembra non avere fine. 
Ma il lavoro ci modifica sempre, anche se ci piace tanto quello che facciamo. Ci modifica, fisicamente e mentalmente. 
La professione che svolgiamo ci plasma al punto da riuscire a “riorganizzare” profondamente il nostro sistema nervoso, non solo il nostro corpo e le nostre abitudini. 
La cosa più evidente è senza dubbio osservabile a livello fisico: chi non si ricorda la pubblicità della famosa bevanda portata “cassa in spalla” da... un fusto con i muscoli d’acciaio? Del resto, mi si passi il paragone, nel cervello succede proprio quello che succede nei muscoli. Più lo si usa, più funziona. E, come lo si usa, così cambia. Proprio come avviene per l’apparato muscolare, le parti che si vanno plasmando “selettivamente” dipendono dallo specifico “esercizio” praticato con costanza. Chi ha dimestichezza con le palestre sa benissimo che ogni diversa macchina serve per agire su muscoli differenti. Per questo si fa preparare, previa valutazione del proprio stato fisico di ingresso e in funzione degli obiettivi personali, un piano dettagliato di allenamento, dove vengono indicati gli strumenti da utilizzare e i tempi da dedicarvi. 
La corteccia cerebrale è divisa naturalmente in quattro sezioni, chiamate lobi: in estrema sintesi, il lobo frontale gestisce il ragionamento, la pianificazione, la produzione del linguaggio, il movimento, le emozioni e la risoluzione di problemi (“problem solving”); il lobo parietale è associato all’orientamento, alla ricognizione spaziale, alla percezione di stimoli; il lobo temporale è dedicato alla percezione e al riconoscimento di stimoli uditivi, alla memoria e al linguaggio; il lobo occipitale infine all’elaborazione visiva. 

Al momento della nascita siamo dotati di una quantità di neuroni in eccesso. Nello sviluppo, la riduzione dei neuroni avviene parallelamente al consolidamento selettivo e alla stabilizzazione dei “circuiti” che prendono forma fra le cellule nervose, in funzione dell’esperienza che facciamo. Come dire, esiste sì un programma genetico che ci portiamo appresso, ma il ruolo dell’ambiente, cioè delle stimolazioni che il mondo ci offre in continuo, è decisivo nella formazione del nostro cervello, che sta alla base delle nostre diverse capacità di pensare, di emozionarci, di agire. 

I nomi delle emozioni dalla A alla Z

Assegnare il giusto nome a una emozione ci aiuta a comprenderla meglio, a metabolizzarla e superarla evitando che pesi nel nostro passato restando irrisolta.

Nomi di emozioni, dalla A alla Z

A - Ammirazione, Amore, Angoscia, Ansia, Amarezza, Apprensione, Attesa
B - Beatitudine
C - Compassione, Compiacimento, Curiosità, Collera, Costernazione
D - Dolore, Disgusto, Disprezzo, Dubbio, Delusione
E - Estasi, Entusiasmo
F - Frustrazione
G - Gioia, Gratitudine, Gratificazione, Gelosia
I - Ira, Invidia, Inquietudine, Imbarazzo, Inadeguatezza, Insicurezza, Indifferenza, Impazienza
L - Livore, Letizia, Leggerezza
M - Malinconia, Mestizia
N - Noia, Nostalgia
O - Ostinazione, Orgoglio, Odio
P - Paura, Prostrazione, Perdono
R - Rabbia, Rancore, Riconoscenza, Rassegnazione, Rimorso, Rimpianto
S - Sorpresa, Stupore, Sgomento, Soddisfazione, Speranza, Sospensione, Struggimento, Sopraffazione, Stima, Scoraggiamento
T - Terrore, Turbamento
U - Umiliazione
V - Vergogna, Vendetta
Z - Zuzzerellaggine (spensieratezza, svagatezza)

Importante ruolo della vitamina D nelle malattie autoimmuni

Soltanto una minima parte della vitamina D si assume con gli alimenti, tutto il resto lo sintetizziamo noi stessi esponendoci alla radiazione solare UV a partire da un precursore presente nell’epidermide, il deidrocolesterolo. Infatti, un importante fattore di rischio di ipovitaminosi D è la ridotta esposizione al sole. Bambini e ragazzi trascorrono troppo tempo in ambienti chiusi svolgendo attività sedentarie.
Basterebbe esporre gambe e braccia tre volte a settimana a mezz’ora di sole oppure tutti i giorni 15 minuti. Un altro fattore responsabile della carenza è l’obesità: la vitamina D è liposolubile e viene catturata nel tessuto adiposo; si rammenta che un terzo della popolazione in età evolutiva in Italia è obeso/sovrappeso. 
Va precisato che sono a maggior rischio i fototipi scuri, con una cute naturalmente più protetta dai raggi. Loro hanno bisogno di una esposizione maggiore. 
Inoltre, l’utilizzo eccessivo e protratto di creme con filtri solari alti riduce drasticamente la sintesi della vitamina D. In tanti casi basterebbe un fattore di protezione medio.
Poi la stagione e la latitudine fanno il resto: d’inverno di vitamina D se ne sintetizza molto poca, per via dell’inclinazione dei raggi solari. Per la stessa ragione più ci si allontana dall’equatore, meno la radiazione UV è efficace. 
Nei primi due anni di vita la vitamina D è fondamentale, oltre che per la sua attività sullo scheletro, anche perché interviene nello sviluppo del sistema immunitario intestinale, proteggendo il bambino dalle allergie. 
È stato osservato infatti che una concentrazione ottimale di vitamina D nell’infanzia si associa alla protezione da diverse malattie: dalle respiratorie, alle autoimmuni come diabete mellito di tipo 1 e morbo di Chron, dalla dermatite atopica alla sclerosi multipla... Il pediatra deve valutare, caso per caso, se è necessario aggiungere vitamina D come supplemento alla dieta.

La vitamina D è fondamentale per prevenire diverse patologie, e può essere impiegata ad alte dosi per curare patologie autoimmuni già conclamate.
Le alte dosi di vitamina d vengono impiegate nel metodo Coimbra per curare la sclerosi multipla, la psoriasi, l'artrite psoriasica, la vitiligine.
Il dott. Cicero Coimbra, che l'ha ideato, è un neurologo brasiliano, professore e ricercatore nell’ambito delle malattie del sistema nervoso e autoimmuni.

Alla base di questo metodo vi è la convinzione da parte del Dott. Coimbra che bassi livelli di vitamina D (colecalciferolo è il nome chimico) che sono dovuti a:
  • scarsa esposizione solare
  • scarsa assunzione di vitamina d con gli alimenti (è presente prevalentemente nel fegato dei pesci, per esempio nell'olio di fegato di merluzzo)
  • alterata attività dell’enzima che determina la sua attivazione
possano determinare l’insorgenza della gran parte delle malattie autoimmuni.

La vitamina D, considerata da Coimbra un vero e proprio ormone, influenza l’espressione di una parte del nostro patrimonio genetico (anche più del 10%) risultando essenziale come agente immunomodulatore e offrendo, a livello del sistema nervoso centrale, un’azione antinfiammatoria e antiproliferativa.
Secondo Coimbra i livelli di vitamina d (100 Unità Internazionali giornaliere) assunti comunemente con una dieta occidentale risultano insufficienti al nostro fabbisogno. In base al protocollo la dose si può estendere fin oltre i 500 UI per kg di peso corporeo al giorno.
In Italia ci sono diversi medici che applicano tale protocollo. Chi è intenzionato a seguirlo deve necessariamente farsi seguire da un medico specializzato, evitando il fai da te, in quanto il sovradosaggio comporta dei rischi specialmente in relazione all'attività renale.