Come sono state sconfitte le infezioni durante gli interventi chirurgici

Dagherrotipo - Riproduzione della scena del primo intervento 
al mondo in anestesia generale, avvenuto presso il 
Massachusset General Hospital di Boston (16-10-1846)
LA LOTTA ALLE INFEZIONI
A metà dell’Ottocento il problema delle infezioni ospedaliere era veramente tragico. Vi erano minori rischi a partorire in casa che in ospedale e si sviluppò, per questo motivo, la tendenza a eseguire operazioni chirurgiche sul tavolo di cucina, dopo avervi attrezzato una sala operatoria. Troppi chirurghi accettavano questa situazione con indolenza, facendosi vanto della propria velocità nell’eseguire interventi. Come si sa i rinnovatori hanno sempre vita dura perché si scontrano contro i poteri basati sull’abitudine dell’ordine costituito.
Ora andiamo in Scozia per conoscere il più grande rinnovatore della Chirurgia, il padre dell’antisepsi, cioè del metodo per combattere lo sviluppo delle infezioni, di cui però non si conoscevano ancora le vere cause. Parliamo di Lord Joseph Lister, (1827 – 1912). Suo padre Joseph J. fu un antesignano dell’uso del microscopio e fu il primo a misurare accuratamente il diametro dei globuli rossi. Nel 1854 Lister divenne primo assistente ed amico del chirurgo James Syme di Edimburgo, considerato allora il miglior chirurgo del Regno Unito. Sposò Agnes, figlia di Syme. Durante il loro viaggio di nozze passarono tre mesi a visitare i principali centri medici in Francia e in Germania: Agnes si innamorò della ricerca medica e visse accanto a lui come ricercatrice per il resto della vita. Lister si ritirò dalla vita professionale dopo la morte della amata  moglie che morì nel 1893 in Italia, durante una delle poche vacanze che si erano concessi.
Quando nel 1843 Lister entrò nell’Università, gli studi della facoltà medica vertevano essenzialmente sulla medicina e pochissimo sulla chirurgia. Ciò rifletteva un secolare divario tra i medici, che erano culturalmente preparati e in grado di emettere giudizi diagnostici e suggerire presidi terapeutici, e i chirurghi, meri esecutori manuali erano considerati “barbieri”. 

Fino al 1743 i chirurghi erano associati ai barbieri: nel 1745 a Londra la “Company of Barber-Surgeon” fu sostituita dalla “Associazione dei Chirurghi” che con il tempo acquisì una fisionomia simile al “Royal College” dei medici. Peraltro ancora oggi in Inghilterra, almeno a livello di titolo, esiste una distinzione: gli inglesi chiamano il medico dottore (Doctor o Dr.) e il chirurgo signore (Mister o Mr.).
Lister aveva notato che la cancrena, molto diffusa in ambiente ospedaliero era piuttosto rara all’esterno. Ciò lo aveva indotto a ritenere che la malattia, caratterizzata dalla putrefazione dei tessuti, era dovuta non tanto a ipotetici “gas venefici” contenuti nell’aria (teoria del miasma), quanto al fatto che “qualcosa la trasmetteva” da un paziente all'altro. Qualcosa presente nell’aria, nelle fasciature che venivano utilizzate ancora sporche per più pazienti, nei ferri chirurgici sommariamente scrostati dal sudiciume prima dell’utilizzo, nelle mani o negli abiti del chirurgo?
Un suo amico e collega universitario, T. Anderson, gli consigliò la lettura dell’opera di un chimico francese, Louis Pasteur (1822 -1895) che in quegli anni aveva dimostrato come la fermentazione di alcuni liquidi fosse legata a batteri in essi presenti e come la bollitura fosse capace di bloccarla. 
Lister ebbe il pregio di intuire che nelle ferite avveniva qualcosa di simile alla fermentazione studiata da Pasteur, arrivando alla conclusione che bisognava cercare il modo di impedire la putrefazione delle ferite, analogamente a quanto faceva il calore impedendo la fermentazione.
Nel 1860 era stato sintetizzato il fenolo, sostanza allora adoperata come deodorante e disinfettante per le fogne. Nel 1865 Lister decise di utilizzare il fenolo (all’epoca chiamato acido carbolico e poi acido fenico) su una frattura esposta, patologia drammatica perché inevitabilmente si concludeva con la morte per cancrena, o quanto meno con l’amputazione dell’arto interessato. Egli continuò ad utilizzare l’acido fenico nelle fratture ossee esposte, una patologia allora molto frequente a Glasgow, città in via di rapido e caotico sviluppo industriale. Le fratture, essenzialmente degli arti, avvenivano per incidente sul lavoro o stradale e i pazienti giungevano in ospedale in così gravi condizioni che l’unico tentativo per salvare la vita era l’amputazione. L’obiettivo di Lister era di prevenire la suppurazione e di salvare l’arto, stando però in vigile attenzione per cogliere i primi segni di un eventuale insuccesso del trattamento antisettico. Le varie fasi operatorie seguivano uno schema prefissato. Inizialmente si rimuovevano i coaguli di sangue ed eventuali corpi estranei, poi si detergeva la ferita con acido fenico concentrato per distruggere tutti i germi. Quindi si applicava sopra la ferita, per evitare successive contaminazioni, una garza imbevuta di acido fenico. Successivamente si copriva il tutto con un sottile strato di stagno o con un disco di piombo, con l’intento di evitare l’evaporazione dell’antisettico. 
Sopra la ferita si formava una crosta spessa ed aderente costituita da sangue e acido fenico che rimaneva in loco per molti giorni; le sue proprietà protettive venivano ripristinate versandoci sopra acido fenico puro, di tanto in tanto, dopo aver rimosso parzialmente il rivestimento metallico. 
Tuttavia, questa metodica aveva dei limiti: infatti l’acido fenico puro era altamente irritante per i tessuti sani circostanti la ferita. Lister cercò allora di attenuare questo effetto collaterale diluendo l’acido fenico sia in acqua che in olio. La soluzione acquosa, più debole e labile di quella oleosa serviva per la disinfezione iniziale delle ferite, mentre quella oleosa veniva applicata successivamente. Lister sperimentò anche una specie di cataplasma costituito da calce e da una soluzione di acido fenico in olio di semi di lino.
Lister pubblicò i risultati su questo nuovo metodo di cura delle fratture sulla prestigiosa rivista “The Lancet”. Era il 16 marzo 1867 e nel titolo dell’articolo: “Antiseptic Principle of the Practice of Surgery” apparve per la prima volta il termine “antisepsi”.
Il metodo antisettico diede brillanti risultati anche nel trattamento degli ascessi. Ai tempi di Lister la gran parte degli ascessi aveva un andamento cronico ed era in rapporto essenzialmente con malattie della colonna vertebrale o di altre ossa; la causa più diffusa era la tubercolosi. L’esito era sempre insoddisfacente e il decesso rappresentava l’evoluzione più frequente.
Il modello operativo adottato da Lister consisteva nell’incidere gli ascessi per evitare che il contenuto andasse in putrefazione, malgrado il contatto con l’aria. Per ottenere questo risultato egli passava una garza imbevuta di acido fenico sopra e intorno alla cute sovrastante l’ascesso, quindi praticava l’incisione con un bisturi precedentemente immerso in soluzione oleosa dello stesso acido. Per scongiurare al massimo la contaminazione settica dell’ascesso aperto, egli lo copriva con cataplasmi di acido fenico. L’obiettivo era “attaccare” i germi atmosferici per mantenere la ferita asettica.
Prima dell’applicazione del metodo di Lister l’apertura di un ascesso era invariabilmente seguita da suppurazione, in quanto i microrganismi favorivano la decomposizione del pus che assumeva proprietà irritanti e dava luogo a suppurazione.
La ricerca di antisettici era concorrenziale all’individuazione di nuovi tipi di protezione e di bendaggio delle ferite. Egli tra l’altro utilizzò il cosiddetto “protective”, un miscuglio di materiali inerti, non irritanti e impermeabili all’acido fenico e ad altri antisettici.
L’antisepsi fece il primo passo. Quello successivo sarebbe stato il passaggio dall’antisepsi alla asepsi, fino alla scoperta della “infezione”, che avrebbe cambiato la storia della chirurgia e il destino di tanti pazienti. Sarebbe stato Robert Koch  nel 1872 con la scoperta del bacillo del carbonchio a dare contenuto e significato a questo nuovo e rivoluzionario concetto.
Gli studi di Pasteur e di Koch attrassero in modo particolare Lister che approfondì il rapporto tra batteri e malattie e ampliò i suoi interessi nel campo dell’immunologia.
In quegli anni maturò l’idea della chirurgia asettica non in alternativa, ma come estensione di quella antisettica così come originariamente concepita da Lister. Il sistema antisettico tendeva a distruggere con agenti chimici i germi e a prevenire l’eventuale successiva invasione da parte di microrganismi della lesione. Invece, con l’asepsi, si mirava alla “condizione di una ferita nella quale è assente la sepsi”. Questo significava assicurare la pulizia utilizzando mezzi antisettici per evitare che i germi inquinassero la ferita chirurgica.
La scoperta di Lister non fu accolta ovunque con consenso e plauso. In molti ambienti, soprattutto scientifici, le sue teorie furono osteggiate e addirittura derise. La pratica dell’antisepsi era scomoda e appariva solo come una perdita di tempo per i vecchi chirurghi che facevano della rapidità il vanto della propria arte. 
Ma Lister aveva l’autorità per imporre e far rispettare, almeno nelle strutture che dirigeva, rigorose disposizioni sull’antisepsi, e alla fine, i risultati ed il tempo gli diedero ragione e si guadagnò una meritata fama. Nel timpano di una delle facciate principali del Policlinico Umberto I di Roma, quello della Clinica Chirurgica, un bassorilievo in marmo ritrae Lister, in primo piano, in piedi a fianco di un paziente da poco operato; egli sta esponendo il caso all’auditorio, mentre i suoi assistenti sullo sfondo sono occupati in varie mansioni. Il tributo che il popolo italiano ha dato a Lister quando ormai costui era una celebrità, è più che eloquente e maggiormente significativo se si considera che il bassorilievo è stato scolpito quando egli era ancora in vita.
Lister è passato alla storia come il fondatore del metodo antisettico, ma probabilmente egli sarebbe rimasto nell’ombra se prima di tutto non fosse stato un chirurgo. E la sua pratica chirurgica non si sarebbe arricchita di nuove tecniche se non avesse avuto a supporto il sistema antisettico. Egli reintrodusse nella pratica clinica la litotomia, cioè la rimozione dei calcoli del rene, considerata proibitiva dopo gli iniziali insuccessi, perché presupponeva l’apertura della cavità addominale con conseguente peritonite mortale. Migliorò l’operazione per vene varicose. Eseguì molti interventi per correggere deformità ossee conseguenti in quel tempo a malnutrizione, rachitismo e tubercolosi. Anche la chirurgia plastica ha avuto con Lister un notevole impulso. Perfezionò inoltre le fasi e i tempi dell'amputazione degli arti. Fu un innovatore nel campo delle suture delle ferite e della legatura dei vasi sanguigni: egli era convinto che non poteva esserci perfetta legatura fino a quando il materiale usato rappresentava un corpo estraneo in grado di provocare reazioni infiammatorie. 
Una legatura di un vaso doveva perlomeno evitare il pericolo di una emorragia secondaria alla suppurazione che poteva verificarsi intorno al filo usato. E allora per evitare la suppurazione immerse i fili di seta in acido fenico prima di utilizzarli. 
Successivamente introdusse l’uso del catgut che, sempre trattato con l’acido fenico, si dimostrò privo di inconvenienti.
L’impatto che ebbe sul mondo chirurgico fu enorme. È però doveroso ricordare che Lister fu a lungo osteggiato e deriso per le sue idee, prima che lentamente la sua celebrità si diffondesse in patria e all’estero. Ma ogni cosa ha il suo tempo: i meriti di Semmelweis vennero ufficialmente riconosciuti da Lister. Egli scrisse, infatti, con grande umiltà: “senza Semmelweis nulla sarebbero stati i risultati da me raggiunti”. 
Il grande Virchow, che pure era stato un deciso e ingiusto oppositore di Semmelweis, definì Lister “uno dei più grandi benefattori del genere umano”.
Anche i colleghi di Lister, come quelli di Semmelweiss, pensarono che fosse matto da legare perché prima di operare si lavava le mani, si toglieva la giacca e si rimboccava le maniche. Però il metodo antisettico diede risultati immediati e strepitosi nel miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie dell’ambiente ospedaliero. 
Nel reparto di Lister i camici divennero bianchi, i ferri chirurgici venivano bolliti e tra le corsie c’era puzza di acido fenico, ma nessuno moriva più per suppurazioni delle ferite. Nelle altre corsie, invece, era diffuso l’odore di carne putrefatta dovuta alla mortale cancrena. Ci volle tempo perché il metodo di Lister conquistasse il mondo della chirurgia e vincesse il pregiudizio, ma alla fine l’antisepsi e l’asepsi furono adottate in tutte le sale chirurgiche del mondo, così come il sistema di legatura con catgut per i punti interni, altra scoperta di Lister. Il suo metodo consentì le più clamorose conquiste della chirurgia moderna. 
A questo punto, un riconoscimento spetta anche a Enrico Bottini, pavese (1835–1903) primario chirurgo dell’Ospedale Maggiore di Novara, che nel 1861 (l’articolo fu pubblicato nel 1866), ricorse a una soluzione acquosa di acido fenico, usandola per lavare piaghe e ferite e per disinfettare gli strumenti chirurgici, anticipando Lister. Purtroppo all’epoca i metodi di Bottini non suscitarono alcun entusiasmo da parte dei colleghi. In seguito, divenne professore di Clinica Chirurgica a Pavia e senatore del Regno. Egli fu un grande precursore che aprì nuove vie alla chirurgia. Ne ricordo una per tutte: il trattamento termo-galvanico della malattia prostatica, cioè il primo intervento mini-invasivo. Oggi la via dove si apre l’ingresso principale dell’Ospedale di Novara è dedicata a Bottini. 
L’importanza di Bottini come precursore di Lister è riconosciuta anche dagli inglesi, ma a Lister va il merito di averne fatto un principio rigoroso e fondamentale. Il mondo volge ammirazione all’uomo che fa benissimo quello che gli altri fanno bene.
Allora non esisteva Internet, né televisione, né telefoni, ma i chirurghi, come tutti gli scienziati viaggiavano molto e conoscevano le lingue, inglese, tedesco e francese. Gli scambi avvenivano durante lunghi stages nelle varie Cliniche. Gli Americani che iniziavano il loro sviluppo allora, venivano in Europa a vedere i colleghi più noti e cominciavano a ricevere la visita degli europei. È noto che Bottini e Lister si conoscessero. In venticinque anni, dal 1875 al 1900, grazie all’asepsi e all’antisepsi la pratica chirurgica divenne una scienza; furono tentate operazioni prima impossibili e studiati interventi chirurgici particolari. Tra i maestri della chirurgia italiana nella seconda metà del XIX sec. vanno ricordati oltre a Enrico Bottini, Edoardo Bassini di Padova, che ideò l’operazione per la cura dell’ernia inguinale, Antonio Carle di Torino, Edoardo Porro di Pavia, che nel 1876 introdusse nella pratica ostetrica il taglio cesareo.
A Torino il metodo di Lister venne introdotto nel 1875 nella Clinica Chirurgica dell’Ospedale S.Giovanni (Vecchio) dal Dr. Novaro, aiuto del prof. Bruni.
Rimanevano solo più da inventare i guanti di gomma, che vennero introdotti nel 1890 dal chirurgo americano William Halsted (1852–1922). Egli fu il chirurgo americano che diede più rilievo al metodo asettico e sviluppò nuove tecniche anestesiologiche e chirurgiche ancora oggi ricordate e attuate fino a 20 anni fa.
Questa invenzione avvenne, come spesso capita, fortuitamente. Halsted era solito farsi aiutare, durante le operazioni, dall’infermiera Caroline Hampton con la quale aveva una relazione. Un giorno costei fu colpita da una reazione eczematosa alle mani causata dai disinfettanti con cui venivano trattati i ferri chirurgici. Allora Halsted per non privarsi del suo prezioso apporto, chiese alla GoodYear di costruire dei guanti di gomma, che poi si diffusero rapidamente nell’uso quotidiano.

articolo scritto dal dott. Andrea Coda per Vivacemente3

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