Clown therapy, curare i malati e non le malattie

Alcuni anni or sono, nell’Aula Magna delle Ospedale Molinette, il medico americano Patch Adams ha tenuto una brillante conferenza parlando a lungo dei suoi 40 anni di attività profusi “per la cura dei malati” e “non delle malattie”.
I primi insegnamenti che lo hanno poi portato, negli anni, a proporsi professionalmente e umanamente in questo modo, gli giungono dalla madre. Una grande donna che gli ha dato e insegnato amore, sempre. Il papà soldato, muore in guerra quando lui ha sedici anni e questo dolore, genera in lui il desiderio e la voglia di sconfiggere la tristezza imparando a portare agli altri non solo amore, ma anche allegria e gioia. Fin da ragazzo riflette sui modi comportamentali delle persone e, in particolare, cerca di capire come lui stesso potrebbe proporsi agli altri per metterli a proprio agio e far scattare una buona dose di empatia.

Decide di studiare medicina e si accorge, già in ambito universitario, che non viene mai insegnato il valore dell’amore, dell’affetto, della comprensione, del sorriso, mentre lui comprende fin da subito quanto sia importante, per un medico, il sentimento della compassione verso chi soffre. Conclusi gli studi e giunto ad esercitare la professione, si trova al fianco di affermati medici che mettono innanzi tutto la carriera e il denaro.

Fonda, nel 1971, un ospedale che in 12 anni riesce a prestare cure a 15.000 pazienti. 
Accoglie ogni malato, ricco o povero. Accoglie ogni disciplina e cura alternativa nel tentativo di offrire ogni forma di conforto alle persone sofferenti. Molti sono i pazienti con problemi di natura psichiatrica, ma in nessun caso vengono applicate le cure classiche proposte dalla psichiatria. 
– Dialogo, comprensione, amore, allegria... In quell’ospedale si rideva e ci si divertiva – racconta soddisfatto Patch. 
– Al momento dell’ospedalizzazione, una persona poteva essere ascoltata anche per 3-4 ore, per comprendere ogni suo disagio e sofferenza. Il nostro modo di proporsi in ospedale di fronte a chi soffre è stato poi chiamato “clown therapy”. Oggi si parla tanto di music therapy, pet therapy, ice-cream therapy, theathre therapy,... ma non c’è bisogno di sapere che il teatro può essere adottato come terapia per sentire l’esigenza di avvicinarci ad esso. Non c’è bisogno di dire che il calore umano aiuta il malato a sopportare il dolore e a sentirsi meno solo, per far sì che il medico eviti di prestare la sua opera con distaccata professionalità. Il medico dovrebbe imparare a porsi di fronte ai pazienti con amore e comprensione per la sua sofferenza. Non esiste un’università dove venga insegnato l’amore, non è necessaria una laurea e la preparazione di una tesi per questo. Ogni medico dovrebbe sentire tutto ciò come una vocazione primaria. 
Vorrei precisare – aggiunge ancora Adams – che si è aggiunta la parola “terapia” alla parola “clown” affinché questi “volontari del sorriso” avessero via libera in ospedale per la loro “missione di gioia”. In realtà, quindi, la gioia, l’allegria, l’affetto, la comprensione non sono la terepia, ma bensì la condizione favorevole per poter instaurare la giusta terapia. Nessuno potrà mai credere che ad un bambino gravemente malato bastino le risate e l’affetto per guarire, ma un ambiente di serenità e amore lo aiuteranno ad affrontare i momenti difficili e le terapie senza troppa paura e diffidenza. –
Dopo una calorosa standing ovation, Patch Adams ha concluso con questo pensiero: “Chiunque lavori in ambito pubblico, se riuscirà a trasmettere amore, potrà essere un clown e per questo non c’è bisogno di alcun abito.”

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